PAOLINO un scito do belin!
PICON DAGHE CIANIN
PICCONE DACCI PIANO
(testo Ottavio De Santis, musica Gino Pesce)

Picon daghe cianìn
3,17 min.
picon-45trilli
tratto da www.itrilli.it
Il testo della canzone Picon daghe cianin è un acquerello che fissa un momento storico particolare del Sestiere di Portoria, la demolizione per una futura ricostruzione È una vera Poesia nata per una canzone, la musica accentua il patos emotivo, generato dalla liricità del testo. La poesia è composta di otto strofe senza una metrica schematizzata. Infatti vi sono due strofe di 6 endecasillabi, la prima e la sesta, di tre quartine formate da una settenario e tre endecasillabi, la seconda, la terza e la quinta, una quartina, la quarta, di 4 endecasillabi ed un distico finale di due endecasillabi, tutti in rima baciata. Non esiste un vero ritornello, tra la seconda sestina, la sesta strofa, ed il distico, si ripete solo la quinta strofa.
Commento
La canzone racconta la demolizione delle case, per una futura ricostruzione del Sestiere di Portoria, ma potrebbe riguardare altri quartieri anche di altre città. L’inizio è immediato "Fra i moin de Picaprîa che fan stramûo, ghe n’êa de câza donde son nasciûo" Fra i mattoni di Piccapietra che traslocano, ci sono anche quelli della mia casa natale. È un eufemismo per definire la demolizione del quartiere e l’asportazione degli elementi base di ogni costruzione, quasi la volontà di cancellare l’anima stessa di Portoria, "ghe son pasòu pe câxo stamatin ma forse o cheu o guidava o mæ camin" Ci sono passato stamattina, per caso, ma forse il cuore ha guidato il mio cammino. In genere si fa sempre lo stesso cammino quotidiano, ma qualche volta l’inconscio ci porta a tornare dove si è vissuto in anni precedenti, in genere il posto è diverso dai ricordi, ma qui è diverso. "chi l’é de Zena ou sa perché ‘n magon o m’à impedîo de dî quest’òraçión" Solo un genovese può sapere perché un nodo in gola mi ha impedito di recitare questa “preghiera”, ma anche chi ha vissuto la stessa amara esperienza in altri quartieri e città.
"Picon daghe cianin mi son nasciûo sotta a sto camin" Piccone batti piano, io sono nato sotto questo camino, non colpire forte, è come se colpissi me che son nato in questa casa; "son muâge che m’àn visto co-o röbin e aregoelâme in gîo co-o careghin" Sono muri che mi hanno visto piccolino, andare in giro tirandomi dietro il seggiolino, questi muri hanno il ricordo di quando ero ragazzino, che camminavo malfermo, appoggiandomi ad una seggiolina; "Picon daghe cianin sôvia sta ciàppa rotta a tochetin, i conpiti gh’ò fæto de latin e gh’ò mangiòu trenette e menestroìn", Piccone batti piano, su questo pezzo di pietra fatta a pezzettini, ho fatto i compiti di latino ed ho mangiato trenette e minestroni. Continuano i ricordi d’infanzia e della giovinezza, periodi che formano la persona condizionandone la vita. "Ma zà ti stæ caciando zù o barcon, ti veddi ghe a Madònna da Paiscion", Ma stai già lavorando sul balcone, guarda, c’è la Madonna dell'Apparizione, è un’edicola votiva che ha un valore, stai attento, sii più delicato, essa è legata ad una grazia ricevuta, è sacra, "l’à fæta o mæ bacan trent’anni fa pe gràçia riçevûa in mêzo a-o mâ", l’ha costruita il mio “capo”, il proprietario dell’edificio, trent’anni orsono, per grazia ricevuta in mezzo al mare. E poi una sensazione forte: "Picon daghe cianin son tutti corpi dæti in sciô mæ cheu" Piccone batti piano, questi colpi sono tutti dati sul mio cuore, mi fanno veramente male, quindi "se pròpio fâne a mêno ti no peu picon daghe cianin" Se proprio non puoi smettere, almeno, piccone, fà piano. È l’implorazione di chi soffre nell’anima, quindi continua: "Credéime pöche vòtte ò ciénto gente no m’emoscionn-o tròppo façilmente" poche volte, credetemi, gente, ho pianto, non mi emoziono tanto facilmente, sono un tipo freddo io, "ma quando ò visto cazze a piconæ a stànsa dôve gh’é nasciûo mæ moæ, me se afermòu quarcösa pròpio chi ò ciénto e ò pregòu coscì" ma quando ho visto cadere a picconate la stanza dove era nata mia madre, mi si è bloccata la gola, ho pianto, ed ho pregato così. Bisogna vivere questa emozione, per capire cos'è accaduto al protagonista! Qualsiasi commento non può rappresentare l’angoscia che attanaglia l’anima. "Picon daghe cianin son tutti corpi dæti in sciô mæ cheu se pròpio fâne a mêno ti no peu picon daghe cianin" ripete che sono i colpi di piccone sono tutti diretti al suo cuore e, quindi ha una idea, portarsi a casa un mattone per ricordo, ed ecco il distico finale: "Férmite un pö picon t’aröbo un mon un tòcco de poêxîa do cian de Picaprîa" Fermati un po’ piccone, solo il tempo di rubare un mattone per riprendermi il mio passato, i miei ricordi, un pezzetto di poesia della piana di Piccapietra, della mia Portoria.
Considerazioni
La canzone ha per tema la ristrutturazione del Sestiere di Portoria, "Portöia", detto anche Piccapietra dall'omonima piazza, "Picaprîa". È un sestiere storico genovese, un tempo abitato da artigiani, portuali e marittimi. Il nome deriva dalla Porta Aurea, la porta della città verso il Bisagno, ove confluivano la via Aurelia e le vie del sale alternative alla via Postumia. È un Sestiere antico, legato ad episodi storici, al Balilla nel crepuscolo della Repubblica, alla repressione Sabauda del 1849 ed al “risanamento” della Città, un’idea che ha distrutto molti centri storici della penisola con andamento planimetrico favorevole ai profitti dei costruttori. La distruzione del sestiere di Portoria è iniziato nel periodo post-unitario quando, come nelle altre città d’Italia, fu pianificato il risanamento, cioè l’ordine di rifare ex novo, ufficialmente per dare un volto moderno alle città della Nuova Italia, in pratica, per ripagare i finanziatori della vicenda unitaria, divenuti costruttori, e per poter sedare facilmente le rivolte o sventare i frequenti agguati ai gendarmi del Regno.
Come altrove, anche a Genova furono “rimodernati” alcuni sestieri. Tra tutti, nell’ottica della “modernità”, il Sestiere di Portoria è stato il primo ed il più sconvolto, con la scomparsa della Piazza di Ponticello e il vico dritto, il reticolo dei carruggi per far posto alle vie XX Settembre, Dante, 12 Ottobre, ecc., per cancellare la Genovesità di cui il sestiere era pregno, il simbolo della rivolta contro gli Austro-Piemontesi nel 1746, il Balilla, nome con cui i Piemontesi del 1849 chiamavano i cittadini genovesi che reclamavano i propri diritti. Poi lo spostamento graduale dell’Ospedale di Pammatone sulla collina di San Martino negli anni 30 e, infine, i bombardamenti americani del 1945, hanno completato l’opera, per cui nel dopoguerra fu completata la demolizione e la ricostruzione che ha dato al sestiere il nuovo volto, quello che oggi conosciamo.
La canzone si riferisce a questo periodo, quando sparì anche la facciata dello storico Ospedale, ed il reticolo dei carruggi fu cancellato completamente. Portoria rivive in altre belle poesie/canzoni, quali "Comme t'é bella Zena".
Di Portoria del tempo che fu resta solo il ricordo nel cuore dei vecchi genovesi, qualche angolo caratteristico, come il Vico Balilla, la toponomastica di alcune strade, come via Pammatone, ed il monumento al Balilla. A proposito dov’è finita la statua del Balilla? Torniamo alla poesia per interpretare al meglio il senso del testo.
Nella prima strofa esprime lo stupore nel vedere il trambusto dei lavori ed il martellare rapido dei picconi, chi ha la mia età lo ricorda fin troppo bene ed occorre trasmettere il ricordo a chi viene dopo di noi, perché perdere il ricordo storico è la perdita dell’identità di un popolo. All’epoca, schiere di operai picconatori lavoravano alla demolizione degli edifici ed altre opere architettoniche, uno spettacolo che ho sempre associato alla descrizione di un girone infernale della Commedia di Dante. Oggi un edificio da demolire “implode” e la scena è vista nel telegiornale da milioni di persone, è spettacolare ma senza le sensazioni emotive che il picconatore può trasmettere e, sopratutto senza mangiar polvere! Vedere poi la propria casa “traslocare” è veramente traumatico, vi assicuro, bisogna vivere la Scena, per poter capire cosa passa per la testa, perché la casa non è solo “i mattoni” ma l’anima di chi vi ha abitato, quell’aura che una persona emana e ne lascia l’impronta sui muri e quindi sui mattoni. Il testo esprime bene il suo stato d’animo e solo “chi è di Genova”, inteso “chi ha vissuto quel momento”, può capire perché un nodo in gola gli fà dire solo mentalmente la preghiera. La preghiera è come una Ave Maria, ha un inizio di strofa che si ripete: Piccone, fa più piano, batti dolcemente, quei muri sono della casa dove sono nato, su quella tavola d’ardesia ho studiato, mangiato, giocato, sognato, in sintesi la mia vita dell’infanzia ed adolescenza.
La quarta strofa richiama il picconatore a far attenzione all’edicola sacra legata alla storia del proprietario della casa, che si è salvato da un naufragio trenta anni prima. Una volta era consuetudine erigere delle Edicole raffiguranti una Madonna, un Santo o le anime, sui muri delle abitazioni, in particolar modo agli incroci dei carruggi e delle creuse.
Nella quinta l’implorazione ha il pathos di vera sofferenza, i colpi di piccone non colpiscono il muro, ma il cuore, l’anima della persona, che nel ricordare diventa un unicum con la casa, e dice di smettere o, se proprio non può farlo, lavori almeno dolcemente, pian pianino.
Nella sesta la passione raggiunge il massimo, quell’uomo freddo, senza emozioni, quando vede picconare la stanza ove è nata la madre, piange perché vede la distruzione delle sue radici, del suo passato, quel passato che condiziona il futuro di un uomo, ed implora ancora di fare il lavoro con dolcezza, quei colpi li sente giungere direttamente sul cuore. Allora chiede di fermare per un attimo il lavoro, deve recuperare almeno un mattone della stanza ove è nata la madre, per tenere in vita il suo passato, le sue radici. Un mattone che è un tocco di poesia, un raggio di sole in tanta devastazione, che illumina la spianata di Piccapietra.
Le pareti interne di una casa portano impresse le vicende vissute dei suoi abitanti, chi entra in una casa è in grado di capirle quando vi entra per la prima volta. Si può percepire una sensazione negativa, di angoscia, o positiva, di serenità, si può anche sentire una presenza, e la percezione ci condiziona il giudizio sulla casa. È il messaggio delle pareti al nostro incoscio, esprime cose impresse nei suoi ricordi, anche cose che forse non esistono più. Questo messaggio ci invoglia o meno a frequentare la casa, a ritornare a visitare i suoi abitanti o, perfino, ad acquistarla.
Questo è il vero motivo, incoscio, per cui si tinteggiano le pareti interne prima di andare ad abitare un appartamento, mentre si parla di motivi d’igiene, di colore non gradito.
Demolire le pareti di una abitazione è cancellare totalmente la storia delle persone. Demolire un quartiere è una vera e totale pulizia etnica.
Conclusioni finali
Il testo non dice chi sia il personaggio della Canzone, lascia la libera interpetrazione al lettore ed alla sua sensibilità. Personalmente penso ad una persona del ceto medio e di buona istruzione, visto i concetti espressi con dignità e discrezione, che fu allontanato forzatamente dal Sestiere per i danni bellici o per necessità della famiglia. È un uomo tenace e lavoratore, di una semplicità dignitosa, ma aperto ancora ad emozioni d’altri tempi.
Il commento di questa poesia-canzone è nato per approfondire la conoscenza storica e per un tentativo di riscrivere la storia per demolire i luoghi comuni che ne falsano la verità. La ricerca storica, in tal senso, va fatta consultando accuratamente gli Archivi comunali, parrocchiali e di Stato, sentire il Popolo che li ha vissuti sulla propria pelle, per giungere all’approfondimento delle cause.
Ad ogni avvenimento o personaggio famoso, che ha portato del bene alla Città, o alla Patria, si erge un monumento, con lapide ed epigrafe, a ricordo perpetuo per le future generazioni. Anche a chi ha pianificato la distruzione di Portoria e la sua modernizzazione è stato eretto un monumento ed una lapide con un’epigrafe, che ricorda le legioni di Giulio Cesare ed altri condottieri della Romanità "Si queres monumentum, circumspice" cioè "Se vuoi vedere il monumento, guardati intorno".
Chi va a Piccapietra e vuol vedere questo monumento, deve guardarsi intorno dimenticando per un attimo di essere a Genova. Si troverà in un posto anonimo, qualunque, di una città qualunque, i muri dei palazzi non gli diranno niente ed intorno sentirà il vuoto, quel vuoto angoscioso che ha riempito l’anima del protagonista della canzone e che il testo trasmette a chi sa ascoltare.
L’anonimità moderna del quartiere è il monumento a chi lo ha ideato! Chi lo vuol vedere, segua l’epigrafe, scritta dagli antichi romani.
Bafurno Salvatore  


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