PAOLINO un scito do belin!
SALÛTA ZENA
SALUTA GENOVA
(testo Anselmi-Antola)

Salûta Zena
3,56 min.
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tratto da www.itrilli.it
Il testo della canzone Salûta Zena è un acquerello scritto, in lingua Ligure - Genovese. Dico lingua Ligure, e non “dialetto”, perché ha una sintassi, una grafia codificata, una fonetica con varianti territoriali, di cui il Genovese è il più diffuso. È una vera Poesia nata per una canzone, la cui musica non disturba affatto la tenue liricità del testo. Come la più famosa “Ma se ghe penso”, tratta il tema dell’Emigrazione di massa, in particolare la vicenda di un genovese che non è più tornato, malgrado lo avesse voluto, cosa riuscita solo a pochi fortunati o testardi.
La poesia è composta di due strofe di 8 endecasillabi, con rima alternata, più quattro doppi ottava rima con rima baciata, e di un ritornello, di otto versi in ottava rima, a rima alternata, da ripetere alla fine delle due strofe.
Commento
La canzone racconta un'atmosfera di altri tempi, in cui si vede il porto della Boca, nella Buenos Aires di fine ottocento, una nave a “Vapore” che si allontana trainata da rimorchiatori, sul molo un vecchietto seduto su una bitta che osserva la nave e le affida un messaggio di saluto. Non saluta chi parte, né la nave. Dà un messaggio per qualcosa che vive nei suoi ricordi e che forse non esiste più come ricorda, travolto dal vento della storia. Nella prima strofa vediamo i due personaggi della poesia, l’emigrante che resta e la nave che sparisce all’orizzonte, nella seconda il vecchietto, solo, con i suoi ricordi.
Vediamo ora questi versi belli e struggenti, anche se sembrano scritti senza pretese. La traduzione è all’impronta, quella letterale non esprime bene il senso della frase.
La prima strofa inizia con la partenza della nave dal molo dove il vecchietto è seduto. "Da-a Bocca se destacca za o vapôre, o l'à i rimorchiatoî co-o tìan de prôa" Dal molo della Boca, il porto di Buenos Aires, la nave a vapore si è staccata dal molo e due rimorchiatori la tirano da “prua”, o prora, lentamente scivolando sull’acqua, "o l'é italian e a poppa o tricolôre, o va lontan da-o pòrto da chi a n'ôa" è italiana, ha in poppa il tricolore, la bandiera italiana che né indica la nazionalità sventola sulla poppa, e entro un’ora si allontanerà dal porto, scomparirà all’orizzonte. Il porto della Boca è molto ampio ed è alla confluenza del Riachuelo nell’estuario del Rio de la Plata, che è largo molti chilometri.
Quindi presenta il protagonista della storia, sul molo deserto "là in sce 'na bìtta gh'é asetòu in vegetto, che in sciâ caladda o va tutte e matin" Là su una bitta è seduto un vecchietto, che si reca sulla calata tutte le mattine, puntuale, come ad un rito religioso, vestito quasi a festa, completo di tutti gli accessori: "co-a seu cadenn-a infiâ into giponétto, o ciondolo o relêuio e o cotelin" Con la sua catena, infilata nel panciotto, con il ciondolo, l'orologio da tasca ed il coltellino. È un personaggio di una semplicità dignitosa, dai modi signorili, quasi avvolto in una aura d’altri tempi. Sta seduto sulla bitta ed osserva "e amiando l'òrizonte, là in mêzo a-e nûvie grîxe" E guardando l'orizzonte, vede la nave sempre più lontana, in una nebbiolina grigia, e sente la nave fischiare ai rimorchiatori, che l’hanno lasciata all’uscita del Porto, "mentre o vapôre o fischia, con l'anima o ghe dîxe..." alla nave, con l'anima, le affida un saluto da portare a Genova.
Il saluto costituisce tutto nel ritornello: "Ciao! Salûtime in pö Zena, Portöia, a Menn-a o Meu" Ciao, salutami, se puoi (un po’) Genova, salutami Portoria, il quartiere dove sono nato, detto anche Piccapietra (Piccaprîa), la Marina e il Molo, i quartieri che frequentavo e che ho visto per ultimi sparire all’orizzonte. "Ciao! Salûtime in pö Zena, che l'ò senpre chi in sciô cheu" Ciao, salutami un po’ Genova, che l'ho qui dentro, nel cuore… sempre!
A Genova vi sono i parenti, con cui non ha più rapporti, e gli amici, che ricorda e saluta: "Ciao! Salûtime i amîxi, ch'én gente da mæ etæ" Ciao, salutami gli amici, quelli della mia età ovviamente, gli altri, i pivelli, le nuove generazioni, non le conosco e loro …figurati! "ti l'abrassi e ti ghe dîxi che no l'ò mâi ciù ascordæ." Abbracciali tutti per me, e dì loro che non li ho mai dimenticati! Né potrò giammai dimenticarli, il loro ricordo mi fa vivere ancora.
La seconda strofa parla del vecchietto, meglio dire di un Vecchio Signore, visto l’eleganza del vestire e la nobiltà del linguaggio, solo, che vive di ricordi e nel rimpianto di non aver potuto ritornare, e lo presenta nella sua casa, quando cala la sera. "O pövio vêgio triste e apascionòu, là in sciâ caladda senpre o se n'anâva" Il povero vecchio, triste e malinconico, che tutti le mattine andava e si fermava sul molo, "pensando a-o tenpo quande o l'êa sbarcòu, pe-a testa quante cöse ghe pasâva" ripensando al tempo in cui era sbarcato, quante cose gli tornavano in mente! E a quante altre cose pensava, che la canzone non dice ma le lascia immaginare! "o se vedéiva zoêno e vigorôzo quande o chinâva in sce l'amiga costa" Si rivedeva giovane e vigoroso, pieno di speranze, quando andava alla Marina, la costa amica. "da un pòpolo tenâce e laboriôzo, co-a vitalitæ da gente nòstra" da un popolo tenace e laborioso, con la vitalità della gente nostra! Di quel popolo che ha sempre lavorato per far grande la Patria, la Repubblica di Genova, ed ora per il Paese che li ha accolti. Questa non è una frase di circostanza o interessata, ma frutto di ricerche storiche, che saranno esposte nelle considerazioni finali.
Il Vecchio Signore torna a casa con i suoi pensieri. La sera li rende più melanconici, la gioventù è lontana, i suoi capelli son diventati cenere, "co-i seu cavelli ræi tutti amaciæ de néie" con i suoi capelli radi, tutti spruzzati di neve, "mentre o vapôre o fischia, o ghe dîva tutte e séie..." quando sente una nave fischiare, trasale e ripete il ritornello, come se tutte le navi andassero a Genova, e così sempre, tutte le sere "Ciao! Salûtime in pö Zena...".
Considerazioni
La canzone ha per tema l’emigrazione di massa, una vicenda umana avvenuta tra il 1830 ed il 1940, per varie cause, la principale è la politica interna nell’Italia Unita dai Savoia. La Liguria è una Regione che ha tanti primati, tra cui l’essere stata la prima Regione assegnata ai Savoia, per decisione del Congresso di Vienna nel 1815. Da allora iniziò l’emigrazione, nei primi anni legata a motivi politici, vedi Mazzini e Garibaldi, forse anche economici, seguita poi, dopo il 1849, anno del Sacco di Genova, dalla grande emigrazione che ha spopolato la Regione, quasi una pulizia etnica. L’Emigrazione è trattata superficialmente dalla storia ufficiale, quella dei testi scolastici. Per una conoscenza seria della storia, la ricerca va fatta consultando accuratamente gli Archivi comunali, parrocchiali e di Stato, che porta all’approfondimento delle cause, ma per capirle a fondo occorre sentire il Popolo che ha vissuto l’evento storico, ed il Popolo si esprime con ballate, cantari, canzoni e poesie, spesso di autore anonimo, per cui è utile capire e commentare questi testi, che fissano la realtà al momento in cui nascono. In sostanza sono la fonte della memoria storica di una Città o di un Popolo. Il tema dell’Emigrazione è l’oggetto di molte canzoni, la più famosa, ed interpretata, è certamente “Ma se ghe penso”, ma “Salûta Zena” è più romantica, crepuscolare, in una atmosfera Gozzaniana delle “Rose che non colsi”, per il vecchietto che non può più tornare e si limita mandare un saluto, incaricando il “Vapore” con bandiera italiana, alla sua Genova ed i suoi amici di leva. Da notare: “il Vapore” con bandiera italiana, e la sera qualsiasi nave, perché è sicuro che una nave non può che andare a Genova, la sola Italia che conosce e che vive nel ricordo. Anche in altre città vi sono state canzoni sul tema dell’emigrazione, come “Ciao Turin” che sembra più una marcetta, o del Repertorio Napoletano “Santa Lucia Luntana” e “Core furastiero”, la sola che si avvicina a “Ma se ghe penso” e “Salûta Zena”, che restano, a mio modesto parere, le migliori.
Considerazioni sul ritornello
Il saluto del ritornello è per Portoria, la Marina ed il Molo, la sola Genova in cui è vissuto. Portoria, era un sestiere genovese abitato da artigiani, portuali e marittimi. Il nome deriva dalla Porta Aurea, la porta della città verso il Bisagno, ove confluivano la via Aurelia e le vie del sale alternative alla via Postumia. È un Sestiere antico, legato ad episodi storici, al Balilla nel crepuscolo della Repubblica, alla repressione Sabauda del 1849, ed al “risanamento” della Città, un’idea che ha distrutto molti centri storici della penisola con andamento planimetrico favorevole. Nella Genova post-unitaria, come in altre città d’Italia, fu pianificato il risanamento, l’ordine di rifare ex novo, ufficialmente per dare un volto moderno alle città della Nuova Italia, in pratica per ripagare i costruttori, che avevano finanziato l’Unità d’Italia e per poter sedare facilmente le rivolte o sventare agguati ai gendarmi del Regno.
Come altrove, anche a Genova furono “rimodernati” dei quartieri, dei quali Portoria è stato il più colpito e sconvolto. Nel 1945 i bombardamenti americani hanno completato l’opera, la ricostruzione gli ha dato un nuovo volto, quello che oggi conosciamo. Della Portoria del tempo che fu resta solo il ricordo nel cuore dei vecchi genovesi ed alcuni angoli caratteristici, come il Vico Balilla, o la toponomastica di alcune strade, come via Pammatone. Essa rivive in alcune belle poesie, scritte per canzoni, come “Picon daghe cianin” e “Comme t'ê bella Zena”, ed altre.
Anche la Marina del tempo che fu non esiste più, è stata sconvolta ed è irriconoscibile, per la distruzione del litorale con la costruzione di Corso Quadrio e del porto turistico, non vi sono più i pescatori intenti ai movimenti della lenza, presso “O scheggio Canpann-a”, ancora in vita, guardando il monte di Portofino, e sentendo suonare Carignano.
Il Molo non ha subito danni, ha solo perso la funzione che aveva un tempo. Dal molo non partono più le navi, il Porto si è spostato verso Sampierdarena e fino Voltri, ed il Molo, con Porta Siberia, è restato il Mandraccio di Genova, e si è aperto alla cultura e riqualificato. Per dovere devo ricordare che, per la “modernizzazione” dei quartieri, o lo “scempio” fatto da foresti, esiste una canzone che ho ascoltato anni fa, in un programma con Vito Elio Petrucci, che ricordo affettuosamente, e la vera attrice Maria Vietz.
Approfondiamo il commento del verso "da un pòpolo tenâce e laboriôzo, co-a vitalitæ da gente nòstra" Quel popolo che ha sempre lavorato per la sua Patria, la Repubblica di Genova ed ora per Paese che li ha accolti, per far comprendere bene questa considerazione.
Il porto di Buenos Aires è nel quartiere della Boca, sul Rio de la Plata alla confluenza con il Rio Riachuelo. Il quartiere della Boca è abitato da immigrati Liguri, o loro discendenti, i suoi abitanti sono chiamati Xeneises (Genovesi), la cui X è la X lunga dell’alfabeto greco, usata nella lingua spagnola antica, che si pronuncia “chi” come in osco o napoletano. I liguri della Boca ne hanno sviluppato il porto e tutto il quartiere, hanno anche fondato la squadra di calcio del Boca Junior e, da ricerche fatte, sembra l’inventore del Tango sia un Ligure della zona di “Caminito”, che è anche il titolo di un tango famoso.
Conclusioni
Il testo non lo dice chi fosse il vecchio signore della Canzone, né chi fosse da giovane nella sua Genova, né il motivo per cui partì e lascia al lettore la libera interpetrazione. Probabilmente una persona del ceto medio e di buona istruzione, che è partito dopo aver perso tutto, il lavoro e gli affetti, forse per vicende politiche o personali. Non ha una famiglia, manda i saluti ai Quartieri ed agli amici della sua età. La sua figura ricorda, quasi, il protagonista del “Vecchio Frac”. È un uomo tenace e lavoratore. Se non è tornato è perché non ha potuto o forse perché a Genova non aveva un posto over posare le ossa, vicino alla Nonna. Forse non ha mai conosciuto la Nonna. Mi piace ricordarlo giovane, pieno di speranze, un giorno festivo alla Marina, seduto sugli scogli intorno allo “Scheggio Canpann-a”, parlare con i pescatori intenti alla lenza ed osservare il mare verso il promontorio di Portofino. Una nave che si allontana e fischia. Il giovane saluta la nave e non immagina che la sua vita finirà saluntando una nave.
Bafurno Salvatore  


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